Le nuovi versioni del Gloria e del Padre Nostro

A quasi un anno di distanza dalla dichiarazione di papa Francesco che auspicava una migliore traduzione del Padre Nostro, sulla scia della chiesa francese, che nel dicembre 2017 ha adottato il testo «Non lasciare che entriamo in tentazione» al posto di «non indurci in tentazione», anche la CEI, con un comunicato stampa del 15 novembre, ha annunciato che la nuova versione del Messale Romano, a conclusione di un percorso durato oltre 16 anni, conterrà due modifiche di rilievo: la nuova versione del Padre Nostro («non abbandonarci alla tentazione») e del Gloria («pace in terra agli uomini, amati dal Signore»).

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Prima di entrare ufficialmente in vigore, il testo della nuova edizione sarà sottoposto alla Santa Sede per i provvedimenti di competenza, ma salvo inaspettate sorprese possiamo considerare i cambi definitivi.  

Perchè questi cambiamenti?

Sicuramente nella recita del Padre Nostro la frase «non ci indurre in tentazione» è sempre stata un punto di indubbia ambiguità. Questa richiesta verso Dio può trarre in inganno e farci pensare che Lui possa tentarci. Possibile? Sicuramente no, però, come ha fatto notare il vescovo di Grenoble Guy de Kerimel (presidente della Commissione episcopale francese per la liturgia e la pastorale sacramentale), la traduzione precedente non era sbagliata dal punto di vista esegetico, ma rischiava di essere mal compresa dai fedeli.

La modifica all’incipit del Gloria (il testo «pace in terra agli uomini, di buona volontà» diventa «pace in terra agli uomini, amati dal Signore») è invece l’armonizzazione del testo liturgico con la traduzione, più corretta, del testo usato nel vangelo di Luca, da cui deriva: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 1-14).

In entrambi i casi il testo italiano usato fino ad oggi è nato da una fedele trasposizione dal latino, «pax hominibus bonae voluntatis» per il Gloria e «et ne nos inducas in tentationem» per il Padre Nostro, traduzioni che a loro volta derivano dal testo greco.

Nel Gloria il testo greco fa uso del termine eudokia, che non ha corrispettivo latino, ma che potremmo indicare con benevolenza, che in questo caso sta ad indicare la sorgente di tutti i beni espressi poco prima con il termine “pace” (eirene). Il senso espresso sarebbe che gli uomini sono il soggetto passivo della volontà di Dio, quindi i benvoluti, gli amati, e non di buona volontà, che in italiano manifesta più un senso attivo, ed è probabilmente nato dalla traduzione letterale latina di eu-dokia. Il motivo dell’agire di Dio è il suo amore per gli uomini.

Nel Padre Nostro invece l’espressione greca eisenènkes, che significa “introdurre, condurre dentro, lasciar cader in”, in latino è stata resa con il verbo inducere, da cui in italiano “non ci indurre”. Con la nuova traduzione “non abbandonarci” si vuole mettere maggiormente a fuoco il senso delle parole di Gesù, ossia “non lasciarci cadere in tentazione – non permettere di entrare in”; la stessa espressione è presente anche in Mt 26,41 «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione». L’ambiguità del testo italiano finora utilizzato nasce dal fatto che l’evangelista, nel tradurre in greco le parole di Gesù pronunciate in una lingua semitica (ebraico o aramaico) -dove con una sola parola si esprime ciò che in italiano o latino si dice con una perifrasi-, ha tradotto letteralmente le parole di Gesù, e i vari passaggi fino all’italiano hanno reso il senso originario difficile da cogliere. Detto ciò, con questa nuova traduzione l’ambiguità della versione in uso ad oggi dovrebbe essere superata.
 

Concludo con le parole di papa Francesco:

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