Utilizzo il titolo parafrasato del romanzo di Enrico Brizzi “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” (Una maestosa storia d’amore e di «rock parrocchiale»), per parlare brevemente di una dinamica relazionale onnipresente: il gruppo.
Nelle nostre realtà è un termine usato per definire molti ambiti, il gruppo degli adolescenti, il gruppo del coro, il gruppo dei pari classe (di seconda, di quarta ecc).
Oltre a queste classificazioni “istituzionali” esiste anche il gruppo che si forma autonomamente tra i ragazzi che frequentano uno stesso posto. Una dinamica di relazione molto forte specialmente nel periodo adolescenziale, una forma di aggregazione naturale che fa parte della crescita di un individuo e del suo sviluppo. In questa età, e tutti ne abbiamo avuta esperienza, i ragazzi sembrano vivere un processo di rottura con il cammino di autonomia e responsabilità fin lì intrapreso. Da piccoli ometti e piccole donnine, come venivano definiti al termine della fanciullezza, sembrano entrare in un periodo che ai nostri occhi sembra di anarchia. Questo perchè i riferimenti familiari sono confrontati e messi alla prova con i valori vissuti all’interno del gruppo, il ragazzo sperimenta nuove esperienze e si confronta con diverse forme di pensiero, abitudini e gusti differenti, nuove forme di libertà senza i consueti controlli, diverse forme di trasgressione e inoltre si innescano anche nuovi processi di identificazione.
Alle colonne portanti rappresentate dalla famiglia si aggiunge quella del gruppo, che diventa così un punto di riferimento nuovo, più seducente e attraente per qurl che riguarda gli interessi e soprattutto i comportamenti. Il gruppo crea quel senso di appartenenza per certi versi rassicurante e mai reprimente, un contesto di condivisione con relazioni forti, un perimetro di sicurezza entro il quale ci si sente liberi.
Se da un lato fare parte di un gruppo è anche uno stimolo alla crescita poiché ci si relaziona con realtà diverse dalla propria, dall’altro lato si insidia il rischio del conformismo e dell’adeguamento, un fenomeno che attraversa trasversalmente la moda, il gusto musicale, il linguaggio, le scelte morali e gli schemi di pensiero che risparmiano la fatica di prendere decisioni proprie e pensare autonomamente.
Di riflesso questo senso comune nasce prevalentemente da un singolo che in quel campo riveste un’influenza preponderante, una sorta di leader che guida l’orientamento del gruppo con opinioni e decisioni. La leadership è infatti una componente fondante del gruppo. In fondo ogni ragazzo cerca una certa valorizzazione di sé, l’essere qualcuno, contare e attirare l’attenzione. Per farlo ci sono dinamiche diverse, come avere delle doti riconosciute, essere particolarmente simpatico e dinamico, rivestire il ruolo del clown, essere trasgressivi ecc.
Pensando ai gruppi non istituzionali che frequentano le nostre realtà qual è quindi il ruolo di un animatore o meglio di un educatore?
Come ci si relaziona con “il gruppo”?
Direi che prima di tutto bisogna essere dei punti di riferimento credibili. Per farlo bisogna rendersi conto dell’esistenza delle dinamiche di relazione interna tra i vari componenti, cercando di diventare un elemento equilibratore in caso di confitti. L’educatore, per certi versi, appartiene al gruppo e, per certi altri, ne è fuori. Ha un ruolo dato, non deciso dal gruppo, che lo rende esterno, ma si inserisce anche nelle dinamiche interne.
Sembra scontato ma il primo passo è quello di conoscere i ragazzi. Bisognerà poi cercare di dare la giusta attenzione a tutti, valorizzando i singoli per quello che sono.